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Largo Coppino

LARGO COPPINO

Questa piazzetta confinava con la bottega del fabbro Mimì Torrieri situata all’angolo del piano terra della sua abitazione.

Quando si passava davanti a questa officina o si sostava nella piazzetta per prendere la cosiddetta spirella (esposizione piacevole al sole) si sentivano gli echi del suo martello che batteva forte sull’incudine per modellare il malcapitato pezzo di ferro dopo che questo era stato abbondantemente surriscaldato tra i carboni ardenti della forgia.

Generalmente erano pezzi rotti di macchine agricole o zappe o attrezzi vari da riparare.

La forgia era un attrezzo di materiale ferroso indispensabile per i fabbri; aveva la forma di un tavolo, con quattro gambi sul cui ripiano c’era un fornello alimentato con pezzi di carbon coke, un combustibile solido ad alto potere calorico. Il fuoco del fornello era tenuto vivo da getti continui di aria generati da una ventola azionata dai ragazzini, tramite una fastidiosa e stridente manovella.

Mentre essi si divertivano a girare la manovella il maestro batteva sull’incudine un pesante martello detto mazza, con ritmo continuo e assordante per evitare che il pezzo da modellare si raffreddasse perdendo così la sua malleabilità.

I colpi del fabbro cessavano solo quando il pezzo da modellare aveva raggiunto la forma desiderata. Poco più avanti c’era un’altra officina, quella del maestro Nello Marcone che oltre a riparare pezzi di macchine agricole creava oggetti artistici di ferro battuto degni di essere esposti nei musei o nei negozi degli antiquari. Nella piazzetta, nei locali oggi adibiti a negozio di generi alimentari, fino agli anni ’60 c’era la sartoria ‘F.lli Polsi, gli zii del maestro professore di musica Aniello Polsi. La sartoria aveva una clientela di un certo rango che veniva addirittura da Atri e dai paesi limitrofi. Essa venne insignita persino di una meritata onorificenza durante il regime fascista.

Va ricordato che nell’anno 1935 il governo italiano istituì l’Ente Nazionale della Moda che aveva la finalità di italianizzare il guardaroba femminile ma soprattutto di sconfiggere il predominio francese in questo settore. Per fare ciò, l’Italia doveva consumare i prodotti italiani e indossare vestiti di lana fatta con la caseina del latte, la lanital, e con il cotone tratto dalle fibre delle ginestre. Ma doveva italianizzarsi anche nel linguaggio usando parole italiane e non inglesismi e francesismi. Già nel 1933, Torino eletta capitale dell’eleganza organizzava mostre e sfilate all’insegna dell’italianità. Le sartorie agli inizi tentennarono perché i clienti preferivano Parigi. Ma piano piano cominciarono a convincere la clientela a vestire italiano. In questo nuovo clima di autentica italianità anche la sartoria dei fratelli Polsi si dette da fare utilizzando lane e cotoni italiani e lanciando mode che esaltavano i costumi locali. Il loro impegno in tal senso venne apprezzato dal locale Podestà che concesse ai F.lli Polsi l’onore di un Diploma al merito che faceva bella mostra nei locali della Sartoria. Oggi la competizione sulla moda tra Francia e Italia le ha inserite entrambe tra le quattro maggiori capitali mondiali della moda.

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